Sono passati dieci anni dalla storica puntata di Servizio Pubblico con Silvio Berlusconi ospite di Michele Santoro. Era il 10 gennaio del 2013 quando si verificò un momento che, per diverse ragioni, conserva un valore epocale per la storia della televisione. Non solo per l'impatto di quell'immagine, la spazzolata alla sedia di Travaglio da parte del cavaliere in occasione del primo e unico incontro in Tv tra Berlusconi e il giornalista. Quel gesto, innestato su un dualismo determinante per la notorietà di Travaglio, fu solo l'apice di una serata identificabile come uno spartiacque per la politica e la Tv in questo Paese.
Gli elementi di contesto sono fondamentali. Le elezioni del 2013 si ricordano per l'irrompere definitivo del Movimento 5 Stelle in un agone politico che veniva da vent'anni di bipolarismo: chi stava con Berlusconi e chi era contro di lui. Uno schema che la forza politica fondata da Beppe Grillo ha di fatto scardinato.
L'apparizione di Berlusconi da Santoro, mai avvenuta fino a quel momento proprio in funzione di un gioco delle parti che vedeva in Servizio Pubblico (e prima in Annozero) l'espressione di tutto ciò che fosse contro Berlusconi, nasceva proprio in ragione di una campagna elettorale che per la prima volta non vedeva il fondatore di Forza Italia come ago della bilancia. In termini televisivi quella campagna elettorale fu infatti segnata dal racconto onnipresente di una nuova forza politica che alla televisione aveva detto no, verginità che il Movimento 5 Stelle avrebbe perso negli anni successivi.
La scelta di Berlusconi di accettare la presenza di Santoro fu a tutti gli effetti uno showdown, in cui il cavaliere si giocava il tutto per tutto, considerando anche l'incombere delle vicende giudiziarie che mesi dopo, nello stesso 2013, portarono alla sua condanna definitiva per frode fiscale e alla decadenza della carica di senatore.
Questi elementi contribuirono a generare un'enorme attenzione per un evento televisivo che non tradì le aspettative, visto che quella puntata di Servizio Pubblico stabilì un record storico per La7, share del 33,59%, ancora oggi intatto.
Nella necessità di trovare un vincitore in quello che fu a tutti gli effetti un duello rusticano tra il Santoro emblema dell'antiberlusconismo e il suo rivale, la percezione del tempo sentenziò che fu proprio Berlusconi ad avere la meglio, proprio grazie alla viralità di alcuni momenti, dalla già citata spolverata della sedia di Travaglio, uno dei primi e più rilevanti meme prodotti dalla politica in Italia, all'elenco dei procedimenti giudiziari a carico del giornalista che destò la reazione furibonda di Santoro.
Ma se i vincitori e i vinti contano poco, tocca registrare un dato di fatto, cioè che da quel giorno il talk show politico in Italia non sarebbe stato più lo stesso. Veniva meno Silvio Berlusconi, che da quel momento non sarebbe stato più il centro di ogni dibattito e nemmeno il protagonista, vista la progressiva uscita di scena al netto di qualche sporadico coup de théâtre; svaniva l'efficacia stessa della televisione di Santoro, che finita l'esperienza di Servizio Pubblico nel 2015 si è dedicato a modelli di racconto diversi e in un certo senso privi della stessa efficacia.
Cambiavano soprattutto la politica e, conseguentemente, i talk show. Per molto tempo i programmi di approfondimento politico in Tv sono stati orfani di un bersaglio da criticare o incensare, oltre che costretti a rapportarsi con una forza politica dominante nel dibattito che ha fatto della sua ostilità alla Tv e al modello stesso dei talk show il suo principale motivo di forza. Un passaggio storico così potente da aver messo per molto tempo in discussione la ragion d'essere di quei contenitori televisivi, che con gli anni hanno saputo tuttavia riorganizzarsi. Piaccia o no, complici anche avvenimenti storici come quello della pandemia, ancora oggi i talk show rappresentano un vettore di fondamentale importanza per il dispiegarsi della disputa politica. Disprezzati, certo, capaci di far discutere principalmente quando se ne debba parlar male, continuano ad essere determinanti per l'enorme quantità di pubblico al quale riescono a parlare, influenzando una scia di dibattito che esce dal tubo catodico, riversandosi nello sconfinato mare dei social network.